à A cosa serve una denuncia alla Commissione?
La denuncia alla Commissione Europea è un metodo per comunicare una presunta violazione, all’istituzione su cui grava il compito di verificare la corretta attuazione del diritto comunitario da parte degli Stati membri. La denuncia deve essere recapitata alla Commissione Europea, all’attenzione del Segretario generale e può contenere un fascicolo in allegato, più o meno completo. L’allegato alla denuncia per la liberalizzazione del mercato di tuning, customizzazioni ed elaborazioni è talmente completo ed esplicito da non richiedere ulteriori indagini da parte della Commissione (ben 55 pagine in cui si descrive la situazione normativa del mercato della personalizzazione in Italia e in Europa).
à Cos’è la procedura d’infrazione?
Tra i compiti della Commissione Europea, c’è il controllo della legislazione degli Stati membri, affinché gli stessi non violino i Trattati e le normative comunitarie. A questo scopo esiste la Procedura d’infrazione (art. 226 del Trattato CE), disposta per consentire a quest’organo comunitario di sanzionare gli Stati che non adempiono gli obblighi previsti nei Trattati. La procedura si conclude con una decisione della Corte di giustizia europea (il primo giudice europeo) sull’infrazione. Se lo Stato verrà giudicato colpevole, di violazione del diritto comunitario, sarà sanzionato e obbligato a rimuovere l’oggetto della violazione. Nel nostro caso, se la Corte “sentenziasse” l’illegittimità comunitaria delle norme che regolano la personalizzazione dei veicoli, lo Stato Italiano sarebbe costretto a modificarle, permettendo se non altro, l’installazione sui nostri veicoli dei componenti omologati negli altri Paesi europei (es. Germania).
à PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Solo a titolo esemplificativo si possono citare tre sentenze della Corte di giustizia, in cui lo Stato italiano è stato dichiarato colpevole, per aver leso il Trattato CE (più in particolare la libera circolazione delle merci). La sentenza Corte di giustizia 14 luglio 1988, Drei Glocken GMBH e Kritzinge, causa 407/85, Racc. , p. 04233; la sentenza della Corte, 13 marzo 1997, Morellato, causa C-358/95, Racc. , p. I-01431; la sentenza 16 gennaio 2003, Prodotti di cacao e di cioccolato, causa C-14/00, Racc. . La sentenza “Prodotti di cacao e di cioccolato”, è particolarmente interessante per diversi fattori.Il più importante è rappresentato dal fatto che la Corte di giustizia non si trova a decidere in via incidentale (pregiudiziale) su una controversia pendente davanti ad un giudice nazionale ma la controversia stessa è nata innanzi alla Corte, per mezzo di un ricorso diretto della Commissione Europea (proposto, ai sensi dell’art. 226 CE – procedimento d’infrazione –). La causa è instaurata quindi, dall’Europa contro lo Stato italiano, come potrebbe avvenire se
Senza pretese di completezza argomentativa citiamo alcuni passaggi dell’allegato alla denuncia. Si ricorda che la denuncia in oggetto non ha le medesime caratteristiche della denuncia prevista dalla normativa nazionale ma è solo un documento informativo, destinato a richiamare l’attenzione della Commissione europea su un argomento particolare. Non ha effetti giudiziari diretti, solo amministrativi.
<<Premessa
L’Europa comunitaria, alla luce del processo d’integrazione svolto dal legislatore europeo e dal ruolo fondamentale e “fondante” della Corte di Giustizia, appare oggi economicamente e (nelle sue varie sfaccettature) politicamente coesa. Vi sono però delle zone d’ombra, segmenti dell’industria che, per la loro accessorietà in un mercato di settore, sono sfuggiti al controllo delle istituzioni comunitarie restando legati alle vecchie concezioni protezionistiche dell’economia politica nazionale. Alcuni settori merceologici non saranno mai “comunitarizzati”, se non in forza di una sentenza del Tribunale di primo grado e quindi su sollecito di un giudice nazionale (attraverso il procedimento di rinvio pregiudiziale) altri, vista la loro crescente importanza economica, dovranno essere “liberalizzati” dalla Commissione Europea. L’oggetto di questa denuncia, riguarda un segmento del mercato dell’automobile e della motocicletta che oggi riveste un’importanza strategica per la piccola e media industria (alla luce della crisi economica che sta comprimendo i mercati europei – in Italia anche il mercato dell’auto e della motocicletta non sono esenti da cali di produttività – con la crescente richiesta da parte dei Paesi in via di sviluppo di petrolio ed il conseguente rincaro giornaliero del prezzo al barile, una spinta significativa all’indotto del mercato automobilistico e motociclistico potrebbe essere riscontrata proprio nel mercato degli accessori per auto e moto veicoli. La liberalizzazione di questo settore, vista la spesa minore richiesta per creazione ex novo di un’azienda e nell’allocazione dei fattori produttivi, potrebbe portare nell’arco di pochi anni a cospicui investimenti privati nel settore) e per questo motivo, rientra nella categoria dei problemi collegati al mercato comune che la stessa Commissione dovrebbe risolvere, attraverso la procedura d’Infrazione. Il Principio fondamentale del diritto comunitario che viene leso dalla normativa interna dello Stato italiano, è quello della libera circolazione delle merci, diritto che è alla base del mercato comune e quindi posto a fondamento della stessa Comunità Economica…>> <<…In Italia a differenza della maggior parte dei Paesi europei, la personalizzazione di un veicolo, sia questo una moto o una macchina, non è concessa se non in alcuni casi specifici, per questo motivo un prodotto dedicato alla personalizzazione di un veicolo, costruito, commercializzato ed installato in un’altro Paese membro, pur potendosi commercializzare in Italia non potrà essere installato, perché la personalizzazione dei veicoli non è consentita. Il procedimento d’esportazione per le imprese italiane non risulta difficoltoso, in quanto ottenendo l’omologazione negli Stati d’esportazione, la vendita e l’installazione dei prodotti provenienti dal nostro Paese è consentita nella maggior parte delle Nazioni europee mentre, come analizzato in precedenza, non lo è nel nostro. In Italia non esiste un procedimento d’omologazione per i componenti sostitutivi per auto e moto veicoli e per questo, sia i produttori italiani sia quelli di altri Paesi europei, non possono accedere al mercato nazionale. Questo significa che un costruttore tedesco, inglese o olandese, non potrà vendere i suoi prodotti in Italia, come fa nel Paese d’origine e negli altri Stati comunitari. È mia intenzione analizzare in prima battuta, la normativa del nostro Paese, indicando i problemi che oltre ad impedire la crescita economica delle imprese del settore in Italia, violano il principio di libera circolazione delle merci e anche altri principi fondamentali della Comunità (in particolare l’art. 28 –libera circolazione delle merci- e l’art. 82 –abuso di posizione dominante- del Trattato). Dalle premesse nazionali passerò all’esposizione, a titolo esemplificativo, della struttura normativa-amministrativa in un Paese campione, la Germania, dove si stima che il mercato della personalizzazione per le sole auto (escludendo quindi il mercato dei componenti in “after market” per motoveicoli) produca un fatturato nazionale complessivo di quasi quattro miliardi di Euro. Come ultimo punto di trattazione analizzerò i principi comunitari che si presumono lesi, fornendo le motivazioni a sostegno del presente documento…>> <<…2. Come anticipato nel capitolo precedente, in Italia è di fatto impossibile installare un componente sostitutivo, di seguito sarà analizzato il sistema normativo ed amministrativo italiano in argomento, cercando di fornire ogni strumento utile per la comprensione del problema commerciale in oggetto che già dalla nascita della CE è divenuto un argomento di diritto comunitario, ledendo di fatto il commercio tra gli Stati membri e l’Italia ed andando quindi a minare, il corretto funzionamento del mercato unico europeo. Nel presente capitolo saranno analizzate soltanto le normative dello Stato Italiano, avendo ben presente l’esistenza della disciplina europea sulle omologazioni comunitarie (per l’omologazione comunitaria dei veicoli a motore si veda la Direttiva 2007/46/CE)…>>
<<…3.1 L’omologazione – certificazione in un paese “campione”, la Germania…>>
<<…4. Il principio europeo
Vista l’importanza economica e sociale della violazione del diritto comunitario oggetto della presente denuncia e senza alcuna pretesa dottrinale in materia, verranno enunciati i principi europei come interpretati dalle Corti e dalle Istituzioni comunitarie, col fine di evidenziare l’ illegittimità della normativa nazionale di settore…>>
<<… Secondo quanto esposto in questo paragrafo, si può già notare l’ illegittimità della normativa Italiana, sia per quanto riguarda l’art. 78 del Codice della Strada (si veda il paragrafo 2.5.) sia per quanto riguarda l’art. 236 del Regolamento di attuazione dello stesso (si veda il paragrafo 2.6.). Secondo il principio di mutuo riconoscimento e in mancanza di una Direttiva comunitaria che indichi come si debbano omologare i singoli componenti, un componente regolarmente omologato in (es.) Germania e che gode del certificato di omologazione “ABE” (si veda il paragrafo 3.1.) dovrebbe poter essere installato su un veicolo italiano senza alcun ulteriore adempimento, potendo circolare, in forza del diritto comunitario, con il certificato dedicato al proprio veicolo (l’ ”ABE” infatti, è un certificato dedicato ad un singolo modello o a più modelli specificatamente indicati). Al limite, secondo i principi di libera circolazione delle merci, si potrebbe prevedere un controllo sul veicolo modificato da parte dell’U.M.C. (ex.Motorizzazione) competente per territorio, al fine di verificare la corretta installazione del componente e la regolarità del certificato d’omologazione tedesco (come proposto nell’ ultimo esempio del paragrafo 2.8.)…>>
<<… Il presente paragrafo descrive il principio comunitario leso dalla normativa dello Stato italiano. In Italia i componenti destinati alla personalizzazione dei veicoli non solo possono essere importati ma addirittura sono messi in vendita legalmente (esistono esercizi commerciali privati, destinati quasi esclusivamente alla vendita dei prodotti in oggetto), l’impasse avviene in un secondo momento, quando il componente deve essere installato, come evidenziato nei paragrafi 2.5. e 2.6. . Si potrebbe pensare che non essendoci una limitazione diretta alla vendita dei prodotti, la legislazione nazionale dell’ Italia non leda l’art. 28 ma, secondo l’interpretazione delle istituzioni comunitarie (come analizzato alla nota 58) non è misura di effetto equivalente solo quella che mira a limitare l’importazione in maniera diretta (impossibilità alla vendita) ma anche quella che di fatto limita l’importazione. Il caso sottoposto alla vostra attenzione limita notevolmente l’importazione dei prodotti comunitari mentre, come misura indistintamente applicabile, favorisce l’esportazione dei prodotti italiani che non potendo essere installati sui veicoli circolanti in Italia, sono commercializzati quasi esclusivamente nel resto d’Europa. Come analizzato alla nota 59, la normativa italiana (paragrafo 2.5. e ss.) è una sofisticata forma di protezionismo commerciale, in quanto sulla scorta di una ipotetica procedura atta a legalizzare la modifica, impedisce la stessa, dando alle case costruttrici di auto e motoveicoli il monopolio sul mercato della personalizzazione, infatti (come analizzato nel commento al paragrafo 4.7.1.) una modifica potrà essere legalizzata solo col nulla osta o il divieto alla modifica per motivi diversi da quelli di ordine tecnico, emanato dalla casa costruttrice del veicolo, …Il principio del mutuo riconoscimento, così come elaborato dalla giurisprudenza della Corte, prevede che gli ostacoli tecnici alla libera circolazione delle merci che ricadono nel campo di applicazione dell’art. 28, possano essere giustificati solo in vista della soddisfazione di esigenze imperative quali: l’efficacia dei controlli fiscali, la protezione della salute, la lealtà delle transazioni commerciali e la tutela del consumatore. Tali esigenze non si possono riscontrare nella fattispecie in esame, anche perché ammettere che non si possa installare su di un veicolo un componente omologato in un altro Paese europeo (es. Germania) come analizzato alla nota 61, equivarrebbe ad affermare che quello Stato europeo (nell’esempio la Germania) non tutela i suoi cittadini, mettendo a rischio la loro salute e la loro stessa vita. La Corte ha avuto modo di precisare (nota 62) inoltre, che la valutazione di congruità rispetto alla probabile violazione delle esigenze imperative di cui sopra, deve essere effettuato, a livello comunitario e questa denuncia alla Commissione, servirà proprio a far valutare la situazione in oggetto nella sede più congrua.Secondo la giurisprudenza della Corte e in linea con la celebre sentenza Cassis de Dijon, lo Stato che intenda opporre ai prodotti importati la propria legislazione, dovrà provare (oltre alla lesione delle esigenze imperative appena accennate) che la normativa tecnica cui il prodotto si è dovuto conformare nello Stato di produzione, non offre le garanzie richieste dalla normativa tecnica nazionale. Come evidenziato alla nota 64, lo Stato italiano è deficitario per quanto concerne la normativa tecnica per le omologazioni, a riguardo si può menzionare un caso eclatante che riguarda i cerchioni alle ruote (siano questi per auto, moto, ecc.). In Italia non esiste una normativa che indichi le caratteristiche tecniche che devono possedere i cerchioni per essere messi in commercio o che disciplini le modalità tecniche e le prove da effettuare per l’omologazione. Un cerchio alle ruote per essere installato regolarmente su un veicolo deve possedere (solamente) le stesse dimensioni del cerchio originariamente installato sul veicolo di serie. Questo sta a significare che un soggetto privato può sostituire i cerchi originali con cerchioni che non sono mai stati controllati da nessun centro tecnico, l’ipotesi più assurda ma legale, è quella di un privato che si costruisce in proprio dei cerchi di legno e li installa sul proprio veicolo, circolando liberamente. Da questa precisazione si concepisce come l’Italia non potrà mai dimostrare che la propria legislazione è più severa di quella degli altri Paesi europei, basti pensare che in Germania i cerchi alle ruote, per essere installati, devono risultare idonei a tutta una serie di prove (disciplinate dalla normativa tecnica) che servono per saggiare la sicurezza (solidità e durata) di questo tipo di componente. Per quanto concerne l’ultima frase del paragrafo in commento: <<L’articolo 28, come si è appena sottolineato, è quindi una norma di principio sulla libertà degli scambi comunitari ma per questo non destinata a promuovere, in generale, il libero esercizio dell’attività commerciale nei singoli Stati membri.>> bisogna sottolineare come, il problema denunciato non riguarda affatto il libero esercizio di attività commerciali (fattispecie consentita nel nostro Paese) ma riguarda esclusivamente la possibilità di installare e quindi utilizzare, i componenti prodotti e commercializzati dagli altri Stati dell’Unione…>>
<<…4.6. Libera circolazione delle merci e tutela della proprietà industriale e commerciale …>>
<<…5. La giurisprudenza comunitaria in materia…
5.1. La sentenza 14 luglio 1988, Pasta di grano duro… <<Nella giurisprudenza della Corte vi sono altri casi analoghi, come la sentenza 13 marzo 1997, dove la normativa tecnica italiana in merito alle qualità organolettiche del pane per uso alimentare, è stata dichiarata lesiva dell’articolo 30 del Trattato (vecchia numerazione) in quanto non consentiva lo smercio del pane avente un grado di umidità superiore al 34% e un tenore di ceneri inferiore all’1,40% (o con aggiunta di crusca). La corte ha stabilito che vietare l’importazione del pane prodotto e commercializzato legalmente in un altro Stato membro, costituiva misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa ai sensi dell’art. 30 del Trattato, che non poteva giustificarsi, conformemente all’art. 36 del Trattato (vecchia numerazione), con la necessità di tutelare la sanità pubblica, quando non sia stato addotto alcun elemento atto a sostenere un’asserzione siffatta. Nella sentenza del 14 luglio 1988, sì è analizzato come, in assenza di una disciplina comunitaria di armonizzazione e senza delle prove oggettive su cui basare le esigenze imperative che giustificherebbero l’esenzione dall’applicazione dell’articolo 28, una normativa nazionale che impedisce l’importazione o la commercializzazione (o nel nostro caso l’installazione e quindi l’utilizzazione) dei prodotti legalmente commercializzati (o nel nostro caso “installati” ed utilizzati) in un altro Stato CE, è una misura lesiva della libera circolazione delle merci e per questo deve essere eliminata dall’ordinamento in causa. Vi sono quindi, a mio avviso, tutti gli elementi per sancire l’illegittimità comunitaria dell’articolo 78 del Codice della Strada e dell’articolo 236 del Regolamento di attuazione dello stesso.>> …>>
<<…6. Conclusioni
Come più volte analizzato nel corso della presente denuncia, la normativa italiana che regola le modifiche alle autovetture e alle motociclette viola il diritto europeo. Per questo motivo si richiede alla Commissione europea un’indagine sulla questione proposta al fine, se lo riterrà necessario, di attivare il procedimento d’infrazione contro lo Stato italiano per la violazione delle norme comunitarie…>>
<<Arta Terme lì 15/05/2008